What's a father to do?

Mar 13, 2011 00:13

Titolo: What’s a father to do?
Fandom: Glee
Personaggi: Burt Hummel, Carole Hudson, nominati Kurt Hummel, Finn Hudson, Blaine Anderson e Dave Karofsky
Pairing: Burt/Carole
Rating: G
Warnings: nessuno
Spoiler: non legga chi non ha visto la puntata “Furt” (no, non ricordo i numeri delle puntate di Glee. Shame on me)
Disclaimer: La storia non è stata scritta a scopo di lucro. Non possiedo nessuno dei personaggi e davvero, credetemi, nessuno mi paga per certe cose.
Avvertenze: Penso nessuna. Strano non scrivere sempre la solita pappardella
Note: E’ la prima volta che mi concentro su un “solo” o flusso mentale di un personaggio di Glee - e non chiedetemi perché alla fine ho scelto proprio Burt. Non sono una ragazza madre, non sono un padre, quindi scandagliare i pensieri di un paparino come Burt (benedetto) è stato assai difficile. Ho cercato di non dare troppo ordine e troppo rigore, comunque, e direi che in questo sono una maestra U,U
È ovviamente ambientata in un punto imprecisato tra il momento in cui Burt scopre di ciò che Karofsky fa passare a Kurt e appena dopo il matrimonio. Non è molto chiaro, lo so, ma per chi ha visto la puntata non dovrebbe essere difficile capire dove.
Enjoy.

“Perché non me l’hai detto, Kurt?”
Continuava a chiederselo, la domanda non riusciva a lasciarlo in pace. Ci pensava mentre lavorava, mentre era con Carole, e ovviamente in qualsiasi momento si trovasse ad avere davanti Kurt. E in quei momenti era ovviamente incapace di fare qualsiasi cosa che non fosse fissarlo con la bocca semi-aperta e un’espressione quasi apatica sul viso.
“Perché non mi ha detto quello che stava succedendo?”
Ogni volta rifarsi quella domanda gli faceva sempre più male. Ogni giustificazione che portava a propria difesa era sempre e comunque qualcosa che gli dava una qualche colpa, grande o piccola che potesse essere. E ogni volta, tale colpa era la solita.
“non ho protetto il mio bambino”
L’unica cosa che poteva comparare questo sentimento era l’odio per quel ragazzo, Karofsky, perché anche se era stupido e in qualche modo non avrebbe dovuto arrabbiarsi con un diciassettenne ignorante e aggressivo che era probabilmente solo geloso di suo figlio, perfetto in confronto a lui - anzi, perfetto e basta: probabilmente anche il padre di quel tipo avrebbe mille volte preferito un figlio come Kurt che un gorilla come il suo - e la cui unica debolezza era l’essere incapace di arrivare alle botte. Ma nonostante questo proprio non riusciva a farne a meno.
Ma non poteva nemmeno evitarsi di essere arrabbiato con se stesso, d’altronde. Perché avrebbe dovuto saperlo, vederlo, in qualche modo capirlo prima di cadere dalle nuvole e ritrovarsi seduto sulla poltrona della preside, con il figlio che confessava i suoi problemi a testa bassa per la prima volta e sentirgli dire quanto era orribile per lui anche solo attraversare i corridoi, o che aveva il terrore di chiudere l’armadietto e trovarselo davanti. Era stato un vero e proprio colpo al cuore - era proprio il caso di dirlo - un dolore improvviso e sordo che lo aveva fatto sentire stupido, oltre che un padre incapace. Inutile prendersela con Finn per il suo silenzio - nonostante avesse anche lui le sue colpe, e anche grosse. Se ne sarebbe dovuto accorgere da solo, o avrebbe dovuto essere un padre al quale Kurt si sarebbe sentito in grado di confidare il suo disagio e i suoi problemi.
“Perché non me l’ha detto?” si chiese ancora, stavolta a mezza voce nel buio della camera da letto, quasi esasperato. Nemmeno il bacio di Carole e il suo sorriso dolce riuscirono a calmarlo, come a nulla servirono le sue parole.
“Non è colpa tua, Burt. Nemmeno io mi sono mai accorta di niente.”
“Ma lui non è tuo figlio, Carole. È figlio mio. Gli sono sempre stato vicino da quando ancora balbettava le canzoni di Cenerentola, me ne sarei dovuto accorgere da solo.” Disse, per poi calmarsi almeno un po’ e aggiungere con tono basso: “Non saremmo dovuti arrivare a questo punto.”
“Kurt è più bravo a tenere i segreti di quanto noi lo siamo a scoprirli…del resto è un adolescente.” Davvero Burt, è inutile che ti rimproveri per questo.” gli accarezzò dolcemente il capo, fino quasi a strappargli un sorriso dalle labbra e aggiungendo poi esattamente ciò di cui sapeva lui aveva bisogno.
“Kurt è fortunato ad avere un padre meraviglioso come te. Sei un bravo padre, Burt, e lui è il primo a pensarlo.”
“Lo spero. E spero anche che lui sappia che l’avrei aiutato, se lui me l’avesse detto. Non avrei esitato nemmeno un attimo…e Dio non voglia che pensi che lo avrei incolpato di qualcosa.”
“Sicuramente non lo ha mai pensato.” Sospirò, e gli lasciò poggiare il capo sulla sua spalla: “Ma a volte i ragazzi sono terrorizzati all’idea di far sapere ai propri genitori i problemi che stanno affrontando. E Kurt sembra il tipo da volersela sempre sbrigare da solo, nel bene o nel male.”
Burt fece una smorfia, come tacito assenso.
“Lo so che la sua vita è più complicata di quella che dovrebbe essere e più di quanto io potrei anche solo immaginare, ma…non capisco il perché.” Disse e cercò il viso di Carole e i suoi occhi.
“Kurt è un ragazzo meraviglioso, e di certo non si merita quel che sta passando. E non lo dico solo perché è il mio bambino. Lo è davvero.”
“Ma certo che lo è. Solo che queste cose i ragazzi di quest’età non le capiscono. Fidati, ho un figlio quarterback io, so di che cosa parlo.” Continuò con tono affabile, con un sorriso dolce come Burt non vedeva da molto tempo e che riuscì a scioglierlo completamente. La prese tra le braccia e le diede un dolce bacio sulla fronte, prima di sospirare.
“Cosa farò, Carole?”
“Cosa faremo, vorrai dire.” lo corresse innocentemente, e quella parola fu un vero sollievo per Burt. Era passato tanto, tanto tempo dall’ultima volta che aveva potuto usare il plurale per parlare di Kurt e dei suoi problemi - fino a quel momento era stato “cosa farò?” “come lo aiuterò?” “come posso dargli una mano?”
“So di non essere Elizabeth e che non potrò mai sostituirla, né per te né per Kurt, ma…”
“Quello che hai detto è molto dolce.” La rassicurò, sempre tenendola stretta a sé: “Hai ragione. Cosa faremo, allora?”
“Beh…io un’idea ce l’avrei da proporti, nel caso la richiesta di espulsione di quel ragazzo non venga accettata. Ma non so se Kurt sarà d’accordo. E ci sarà un piccolo sacrificio da fare, probabilmente, ma questo non penso sia un problema…” continuò cautamente, e infatti subito Burt scrollò il capo.
“E non lo è infatti.” Disse subito.
Prima Kurt, poi tutto il resto del mondo era sempre stato il suo motto, e lo sarebbe stato per sempre, non importava che sacrifici ci sarebbero stati. Dopo quello che era successo sarebbe disposto a vendersi persino i pantaloni per lui - qualsiasi cosa.
“A cosa avevi pensato quindi?”
Carole deglutì, cautamente.
“Hai presente quel suo nuovo amico Blaine?”

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